16.2.06

Alla luna. Giacomo Leopardi

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l'anno, sovra questo colle
Io venia pien d'angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna.
E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l'etate
Del mio dolore.
Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l'affanno duri!

Il delicato coraggio di essere se stessi

Esprimersi significa scoprirti, ascoltarti ed accettarti sentendoti libero, vero. Qualsiasi cosa provi uragani di rabbia, tempeste di gioia o dolore impari a non lasciarti trascinare via, per quanto grande sia l’emozione.

Nagarjuna

Attaccamento è insistere ad essere "qualcuno";
non-attaccamento è esser liberi d'essere nessuno.

Guerriero Apache anonimo

Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo non prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini.

Per colpa di un accento di Gianni Rodari

Per colpa di un accento
un tale di Santhià
credeva d'essere alla meta
ed era appena a metà.
Per analogo errore
un contadino a Rho
tentava invano di cogliere
le pere da un però.
Non parliamo del dolore
di un signore di Corfù
quando, senza più accento,
il suo cucu non cantò più.

L'Acca in fuga di Gianni Rodari

C'era una volta un'Acca. Era una povera Acca da poco: valeva un'acca, e lo sapeva. Perciò non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano: e così, saresti anche tu una lettera dell'alfabeto? Con quella faccia? Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?
Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all'estero ci sono paesi, e lingue, in cui l'acca ci fa la sua figura. "Voglio andare in Germania (pensava l'Acca, quand'era più triste del solito), mi hanno detto che lassù le Acca sono importantissime ".
Un giorno la fecero proprio arrabbiare e lei, senza dire né uno né due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l'autostop.
Apriti cielo! Quel che successe da un momento all'altro, a causa di quella fuga, non si può nemmeno descrivere.
Le chiese, rimaste senz'acca, crollarono come sotto i bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccio un po' dappertutto. In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini: levargli l'acca, era stato come levargli le ali. Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all'aperto. Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole. Non vi dico il Chianti, senz'acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché i bicchieri, diventati "biccieri", schiattavano in mille pezzi. Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il "ciodo" si squagliò sotto il martello peggio che se fosse stato di burro. La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non un solo gallo riuscì a fare chicchirichi': facevano tutti ciccirici, e pareva che starnutissero. Si temette un'epidemia.
Cominciò una gran caccia all'uomo, anzi, scusate, all'Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza. L'Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perché non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c'è una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa è una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione
L’Acca era di buon cuore, ve l’ho già detto. È rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci pianterà in asso un'altra volta.
Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli "occiali" senz’acca non ci vedo da qui a lì.

Il dono del rabbino (Fonte non specificata)

La storia racconta di un monastero che stava vivendo tempi difficili. In passato aveva ospitato un ordine importante, ma in seguito a un'ondata di persecuzioni antimonastiche verificatesi nel diciassettesimo e diciottesimo secolo e a una crescente tendenza verso il secolarismo nel diciannovesimo secolo, tutti i suoi conventi secondari erano andati distrutti e l'ordine era rappresentato soltanto dall'abate e altri quattro monaci, tutti ultra settantenni, che vivevano nella cadente abbazia. Era chiaramente destinato a scomparire.
Nel fitto bosco che circondava il monastero, si trovava una piccola capanna che un rabbino proveniente da una città vicina usava di tanto in tanto come eremo. Nei lunghi anni di preghiera e contemplazione i vecchi monaci avevano sviluppato una sensibilità quasi paranormale ed erano quindi sempre in grado di dire quando il rabbino si trovava nel suo eremo. “Il rabbino è nel bosco, il rabbino è di nuovo nel bosco”, si sussurravano a vicenda, l'abate decise di recarsi all'eremo e di chiedere al rabbino se non avesse alcun consiglio da dargli per salvare il monastero.
Il rabbino accolse l'abate nella capanna, ma quando l'abate gli spiegò lo scopo della sua visita, il rabbino non poté far altro che condividere il suo dolore. “Conosco questo problema”, esclamò. “La gente ha perso la spiritualità. Accade lo stesso nella mia città. Quasi nessuno viene più alla sinagoga”. Così si lamentarono insieme il vecchio abate e il vecchio rabbino. Poi lessero alcuni brani dalla Torah e presero a conversare serenamente di profonde questioni spirituali. Venne per l'abate il momento di andarsene e i due si abbracciarono. “E' stato meraviglioso incontrarsi dopo tutti questi anni”, disse l'abate, ma venendo qui non ho raggiunto il mio scopo. Non c'è nulla che puoi dirmi, nessun consiglio che puoi darmi, per aiutarmi a salvare il mio ordine dalla morte?”. “No, mi dispiace”, rispose il rabbino, non ho consigli da darti. L'unica cosa che posso dirti è che il Messia è tra voi”.
Quando l'abate tornò al monastero i monaci gli si radunarono intorno e gli chiesero: “Ebbene, cosa ti ha detto il rabbino?”. “Non è stato in grado di aiutarmi”, rispose l'abate. “Abbiamo soltanto pianto insieme e letto la Torah. L'unica cosa che mi ha detto, proprio mentre me ne stavo andando, è stato qualcosa di oscuro. Ha detto che il Messia è tra noi. Ma non so cosa intendesse”.
Nei giorni, nelle settimane, nei mesi che seguirono, i vecchi monaci rifletterono su questa frase chiedendosi se le parole del rabbino avessero un qualche particolare significato. Il Messia è tra noi? Voleva forse dire che il Messia è uno di noi? E se è così, chi? Intendeva forse l'abate? Si, se si riferiva a qualcuno, probabilmente si riferiva all'abate. Ci ha guidati per più di una generazione. D'altra parte avrebbe anche potuto riferirsi a fratello Thomas. Sicuramente fratello Thomas è un sant'uomo. Tutti sanno che Thomas è un uomo illuminato. Certamente non poteva riferirsi a fratel Elred! A volte Elred è irascibile. E' una spina nel fianco per tutti, anche se praticamente ha sempre ragione. Chissà se il rabbino non intendesse proprio fratel Elred. Ma sicuramente non fratel Phillip. Phillip è così passivo, una vera nullità. Eppure ha il dono di essere sempre presente quando c'è bisogno di lui. Forse il Messia è proprio lui. Non è proprio possibile che intendesse me. Io sono una persona qualsiasi. Eppure se fosse proprio così? Se fossi io il Messia? Oh no, non io. Non potrei essere così importante per Te, non è vero?
Immersi in questi pensieri, i vecchi monaci cominciarono a trattarsi fra di loro con straordinario rispetto poiché esisteva la possibilità, per quanto remota, che il Messia fosse tra di loro. E per la possibilità, ancor più remota, che il Messia fosse ciascuno di loro, ognuno cominciò a trattare se stesso con altrettanto rispetto.
Accadeva che di tanto in tanto alcuni visitatori si trovassero da quelle parti, quando senza nemmeno rendersene conto cominciarono ad avvertire l'alone di straordinario rispetto che circondava i cinque vecchi monaci, c'era qualcosa di straordinariamente affascinante, persino irresistibile. I visitatori cominciarono a tornare per fermarsi a pregare, portarono gli amici e gli amici portarono altri amici.
Accadde così che qualcuno di loro iniziò a intrattenersi sempre più frequentemente con i monaci. E dopo qualche tempo uno chiese di potersi unire a loro. Poi un altro e un altro ancora. Così, nel giro di pochi anni, il monastero riprese a ospitare un ordine prosperoso e, grazie al dono del rabbino, tornò a essere un vivo centro di luce e di spiritualità.

Anonimo

La vita non si misura con la quantità di respiri ma con i momenti che te lo hanno tolto.

La città dalle nove porte (Bhagavad Gita 5:13)

Coloro che rinunciano all'attaccamento al risultato in tutte le loro azioni vivono a loro agio nella "città dalle nove porte": non provano compulsione ad agire né coinvolgono gli altri nell'azione.

Bhagavad Gita 2:39-41

Ascolta i principï dello yoga. Mettendoli in pratica riuscirai a spezzare i legami del karma. Su questa via l'impegno non va mai sprecato e non c'è fallimento alcuno. Anche un minimo sforzo verso la consapevolezza spirituale ti proteggerà dalla paura più grande. Quelli che seguono questa via, risoluti profondamente dentro di sé a cercare Me soltanto, raggiungono l'unicità dello scopo. Per coloro che difettano di risoluzione, le decisioni della vita sono tante, ramificate ed infinite.

Ramakrishna

Il devoto che riesce meditare su Dio mentre vive una vita da capofamiglia è effettivamente un eroe. Dio pensa: «Chi ha rinunciato al mondo per amor mio, certamente mi pregherà; deve servirmi. C'è forse qualcosa di straordinario in ciò? La gente gli griderebbe "Vergogna!" se non lo facesse. Ma è invero benedetto colui che medita su di me in mezzo ai suoi quotidiani doveri, che prova a cercarmi superando un grande ostacolo: è come se smuovesse un enorme blocco di pietra pesante una tonnellata. Un tal uomo è un vero eroe».

Yoga Vasistha

Mi inchino a quella realtà nella quale tutti gli elementi e tutti gli esseri animati ed inanimati brillano come se avessero un'esistenza separata e nella quale esistono nel tempo e si fondono. Mi inchino a quella coscienza che è la sorgente dell'apparente triplice distinzione tra il conoscitore, la conoscenza e il conosciuto, colui che vede, l'atto di vedere e ciò che viene visto, colui che agisce, l'agire e l'azione. Mi inchino a quella beatitudine assoluta (l'oceano di beatitudine) che è la vita di tutti gli esseri la cui felicità e sviluppo sono spruzzi di spuma dall'oceano di beatitudine.

15.2.06

Il cammino particolare Il testo è tratto da “Il cammino dell’uomo” di Martin Buber (edizioni Qiqajon) di cui ho riportato alcuni brani.

Rabbi Bär di Radoschitz supplicò un giorno il suo maestro, il Veggente di Lublino: "Indicatemi un cammino universale al servizio di Dio!". E lo zaddik rispose: "Non si tratta di dire all'uomo quale cammino deve percorrere: perché c'è una via in cui si segue Dio con lo studio e un'altra con la preghiera una con il digiuno e un'altra mangiando. E compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze".
Questo ci dice innanzitutto quale deve essere il nostro rapporto con il servizio autentico che è stato compiuto prima di noi: dobbiamo venerarlo, trarne insegnamento, ma non imitarlo pedissequamente. Quanto di grande e di santo è stato compiuto ha per noi valore di esempio perché ci mostra con grande evidenza cosa sono grandezza e santità, ma non e un modello da ricalcare. Per quanto infimo possa essere - se paragonato alle opere dei patriarchi - ciò che noi siamo in grado di realizzare, il suo valore risiede comunque nel fatto che siamo noi a realizzarlo nel modo a noi proprio e con le nostre forze.
Un chassid chiese al Magghid di Zloczow: "E detto: 'Ognuno in Israele ha l’obbligo di dire: Quando la mia opera raggiungerà le opere dei miei padri Abramo, Isacco e Giacobbe?'. Come si deve intendere? Come possiamo ardire di pensare che potremmo eguagliare i padri?". Il Magghid spiegò: "Come i padri hanno istituito un nuovo servizio - ciascuno un nuovo servizio secondo la propria natura: l'uno quello dell'amore, l'altro quello della forza, il terzo quello dello splendore - così noi, ciascuno secondo la propria modalità, dobbiamo istituire del nuovo alla luce dell'insegnamento e del servizio di Dio; e non fare il già fatto, bensì quello ancora da fare".
Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico. "Ciascuno in Israele ha l'obbligo di riconoscere e considerare che lui è unico al mondo nel suo genere, e che al mondo non è mai esistito nessun uomo identico a lui: se infatti fosse già esistito al mondo un uomo identico a lui, egli non avrebbe motivo di essere al mondo. Ogni singolo uomo è cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo. Perché, in verità, che questo non accada è ciò che ritarda la venuta del Messia". Ciascuno è tenuto a sviluppare e dar corpo proprio a questa unicità e irripetibilità, non invece a rifare ancora una volta ciò che un altro - fosse pure la persona più grande - ha già realizzato. Quand'era già vecchio e cieco, il saggio Rabbi Bunam disse un giorno: "Non vorrei barattare il mio posto con quello del padre Abramo. Che ne verrebbe a Dio se il patriarca Abramo diventasse come il cieco Bunam e il cieco Bunam come Abramo?". La stessa idea è stata espressa con ancora maggior acutezza da Rabbi Sussja che, in punto di morte, esclamò: "Nel mondo futuro non mi si chiederà: 'Perché non sei stato Mosè?'; mi si chiederà invece: 'Perché non sei stato Sussja?"'.
Siamo qui in presenza di un insegnamento che si basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano. L'universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato a un uomo. Alcuni discepoli di un defunto zaddik si recarono dal Veggente di Lublino e si meravigliavano che avesse usi diversi dal loro maestro. "Che Dio è mai - esclamò il Rabbi - quello che può essere servito su un unico cammino?". Ma dato che ogni uomo può, a partire da dove si trova e dalla propria essenza, giungere a Dio, anche il genere umano in quanto tale può, progredendo su tutti i cammini, giungere fino a lui.
Dio non dice: "Questo cammino conduce fino a me, mentre quell'altro no"; dice invece: "Tutto quello che fai può essere un cammino verso di me, a condizione che tu lo faccia in modo tale che ti conduca fino a me". Ma in che cosa consista ciò che può e deve fare quell'uomo preciso e nessun altro, può rivelarsi all'uomo solo a partire da se stesso. In questo campo, il fatto di guardare quanto un altro ha fatto e di sforzarsi di imitarlo può solo indurre in errore; comportandosi così, infatti, uno perde di vista ciò a cui lui, e lui solo, è chiamato. Il Baal-Shem dice: "Ognuno si comporti conformemente al grado che è il suo. Se non avviene così, e uno si impadronisce del grado del compagno e si lascia sfuggire il proprio, non realizzerà né l'uno né l'altro". Così il cammino attraverso il quale un uomo avrà accesso a Dio gli può essere indicato unicamente dalla conoscenza del proprio essere, la conoscenza della propria qualità e della propria tendenza essenziale. "In ognuno c'è qualcosa di prezioso che non c'è in nessun altro". Ma ciò che è prezioso dentro di sé, l'uomo può scoprirlo solo se coglie veramente il proprio sentimento più profondo, il proprio desiderio fondamentale, ciò che muove l'aspetto più intimo del proprio essere.
E indubbio che l'uomo conosca spesso il proprio sentimento più profondo solo nella forma della passione particolare, nella forma della "cattiva inclinazione" che vuole sviarlo. Conformemente alla sua natura, il desiderio più ardente di un essere umano, tra le diverse cose che incontra, si focalizza innanzitutto su quelle che promettono di colmarlo. L'essenziale è che l'uomo diriga la forza di quello stesso sentimento, di quello stesso impulso, dall'occasionale al necessario, dal relativo all'assoluto: cosi troverà il proprio cammino.
Uno zaddik insegna: "Alla fine di Qoelet sta scritto: 'Al termine delle cose si ode il tutto: temi Dio!'. Qualunque sia la cosa a capo della quale tu arrivi, là, al suo termine, tu udrai immancabilmente questo: 'Temi Dio' e questo è il tutto. Non esiste cosa al mondo che non ti indichi un cammino verso il timore di Dio e il servizio di Dio: tutto è comandamento". Ma la nostra autentica missione in questo mondo in cui siamo stati posti non può essere in alcun caso quella di voltare le spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore; al contrario, è proprio quella di entrare in contatto, attraverso la santificazione del legame che ci unisce a loro, con ciò che in essi si manifesta come bellezza, sensazione di benessere, godimento. Il chassidismo insegna che la gioia che si prova a contatto con il mondo conduce, se la santifichiamo con tutto il nostro essere, alla gioia in Dio.
Nel racconto del Veggente, il fatto che, tra i vari cammini presi a esempio, accanto a quello che consiste nel mangiare, ce ne sia anche uno che consiste nel digiunare sembra contraddire quanto appena detto. Se tuttavia consideriamo questo nell'insieme dell'insegnamento chassidico, ci accorgiamo che, se la presa di distanza dalla natura e l'astinenza nei confronti della vita naturale possono effettivamente costituire a volte l'inizio del cammino necessario a un uomo - così come lo stare in disparte può essere indispensabile in certi momenti cruciali dell'esistenza - esse non possono però mai rappresentare l'intero cammino. Ci sono uomini che devono cominciare con il digiuno, e cominciare sempre da capo, perché è loro peculiarità poter conseguire unicamente attraverso il mezzo dell'ascesi la liberazione dall'asservimento al mondo, il più profondo ritorno a se stessi e, di conseguenza, il legame con l'assoluto. Ma l'ascesi non deve mai pretendere di dominare la vita dell'uomo. L'uomo deve allontanarsi dalla natura solo per ritornarvi rinnovato e per trovare, nel contatto santificato con essa, il cammino verso Dio.
"E stette sopra di loro, sotto l'albero, mentre essi mangiavano". Ecco come Rabbi Sussja spiegava questa frase della Scrittura che descrive Abramo mentre serve da mangiare agli angeli: l'uomo - diceva - sta sopra agli angeli perché conosce l'intenzione che santifica il pasto, mentre essi non la conoscono. Abramo fece scendere sugli angeli, che non erano adusi al cibo, l'intenzione attraverso la quale egli era solito consacrarlo a Dio. Qualsiasi atto naturale, se santificato, conduce a Dio, e la natura ha bisogno dell'uomo perché compia in lei ciò che nessun angelo può compiere: santificarla.

2.2.06

Lev Tolstoi

V'è nel sentimento dell'amore qualcosa di singolare, capace di risolvere tutte le contraddizioni dell'esistenza e di dare all'uomo quel bene completo, la cui ricerca costituisce la vita.

1.2.06

Diceva Alce Nero ai suoi Sioux:

“Se vogliamo sopravvivere dobbiamo continuare a danzare”.

23.1.06

Franz Kafka

E' difficile dire la verità, perché ne esiste sì una sola, ma è viva e possiede pertanto un volto vivo e mutevole

Thomas Mann

"L'arte è per la comunità quel che il sogno è per l'individuo"

Kahlil Gibran

L'uomo veramente grande è colui che non vuole esercitare il dominio su nessun altro uomo e che non vuole da nessun altro essere dominato.

Emily Dickinson

Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.

26.12.05

Albert Einstein

“...analizzando e valutando ogni giorno tutte le idee, ho capito che spesso tutti sono convinti che una cosa sia impossibile, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la realizza...”

“Vivo in quella solitudine che è penosa in gioventù, ma deliziosa negli anni della maturità”.

“Io non ho particolari talenti... sono solo appassionatamente curioso”.

"La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono"

"Quando la soluzione è semplice, Dio sta rispondendo"

Se (R. Kipling)

Se riuscirai a conservare la calma quando tutti intorno a te la perdono
e te ne fanno una colpa;
Se avrai fiducia in te stesso, quando tutti dubiteranno,
ma saprai tener conto del loro dubbio;

Se saprai aspettare, senza stancarti nell'attesa,
ed essere calunniato senza calunniare a sua volta
o essere odiato senza lasciarti prendere dall'odio
e tuttavia non apparire troppo buono
e non parlare troppo saggio;

Se riuscirai a sognare ed a non fare del sogno il tuo padrone;

Se riuscirai a pensare ed a non fare del pensiero il tuo scopo;

Se saprai far fronte al trionfo e alla rovina
e trattare nello stesso modo questi due impostori;

Se sopporterai di udire la verità che hai detto distorta
da furfanti per abbindolare gli ingenui,
o contemplare le cose cui hai dedicato la vita,
spezzate, e piegarti a ricostruirle con utensili rotti;

Se riuscirai a fare un mucchio di tutte le tue vincite
e rischiarle in un solo colpo a testa e croce,
e perdere e ricominciare dal principio
e non dir parola sulla tua perdita;

Se saprai costringere cuore, tendini e nervi
a servire la tua volontà anche quando sono sfiniti,
ed a resistere quando in te non resta altro che la volontà che dice loro "Resistete!";

Se saprai parlare con le folle e conservarti retto;
passeggiare con il Re e non perdere la semplicità;

Se né i nemici né gli amici più cari riusciranno ad offenderti;

Se tutti conteranno per te, ma nessuno troppo;

Se riuscirai ad occupare il minuto inesorabile,
dando valore ad ogni istante che passa;

Tua sarà la terra e tutto ciò che è in essa, e quel che di più conta, sarai un uomo, figlio!

Semina ...

Semina un pensiero e nascerà un'azione;
semina un'azione e nascerà un'abitudine;
semina un'abitudine e nascerà un carattere;
semina un carattere e nascerà un destino.
Poiché la mente precede i modi d'essere,
originati dalla mente,
creati dalla mente.
Nella mente ha origine la sofferenza;
nella mente ha origine la cessazione della sofferenza.
Anguttara Nikaya